La quinta fatica di Ercole

Cari tutti, eccoci ad affrontare la quinta fatica di Ercole ed il suo insegnamento.

ERCOLEQuesta fatica ci propone ancora una volta una forma di Servizio che Ercole, nella sua duplice natura, figlio dell’uomo e figlio di Dio, dimostra di saper perseguire.
Cosa significa per Ercole, il discepolo, quindi per tutti noi, attraversare la quinta prova?
“Servire ed andare incontro a coloro che si trovano nella disperazione”.
In questa esperienza Ercole decide di usare solamente le sue forze, tralasciando i preziosi doni che a suo tempo gli sono stati consegnati, compresa la clava da lui stesso costruita.
Sceglie di usare la sua forza. Questa fatica ci ricorda che ciascuno di noi, con il tempo si costruisce la propria forza, i propri conseguimenti, i propri strumenti, la propria luce che spesso non riconosce di avere. Questo fino a che la vita non ci mette nelle condizioni di osare.

iSHewQ5uomo-vitruviano-di-Leonardo-Da-VinciIn questa impresa si parla del numero cinque, con i suoi interessanti significati. Il cinque è il numero dell’uomo, del divenire (ricordiamo l’uomo di Vitruvio, disegnato da Leonardo da Vinci).
In questo simbolo, viene rappresentata la duplicità dell’uomo che nel nostro percorso di formazione permanente, viene spesso considerata.

Ricordiamo quindi insieme, ancora una volta i veicoli di cui è composto l’uomo, attraverso la bella analogia della carrozza. 

CARROZZAIn questo caso oltre ai corpi Mentale, Emotivo e fisico, questo ultimo viene a sua volta considerato duplice. Il corpo fisico infatti è composto dalla parte fisica, organica e dalla parte eterica, vitale. È praticamente l’energia che anima la parte fisica. La camera kirian, inventata dai fisici russi nel 1954, lo rileva. Si presta bene, l’analogia, oggi obsoleta, nell’ epoca del digitale, la vecchia fotografia cartacea, che si sviluppa, appunto solo dal negativo impresso la pellicola.
Il Sé, il padrone della carrozza, integra questi quattro corpi armonizzati ed asserviti, creando la personalità integrata.
L’uomo di Vitruvio, la stella a cinque punte, ben rappresenta l’unione tra l’alto ed il basso, tra lo spirito e la materia.
Le gambe sono ben ancorate a terra, le braccia aperte si protendono verso il cielo, formando appunto la stella del cinque. Infatti la nostra realtà è duplice.
Il nostro scopo ultimo è appunto quello di unire spirito e materia. Spiritualizzare la materia.
caduceus-1245442Ricordiamo il simbolo del caduceo che ben rappresenta la storia dell’umanità.
Questo è il nostro compito, quando, una volta realizzata l ‘individuazione, l’io sono, si continua a lavorare per costruire la personalità integrata, alfine di realizzare l’unione con il Sé.
Così Ercole, come noi tutti, attraverso il percorso della nostra evoluzione, impara ad usare il pensiero, a comprenderne il suo immenso valore e potere (prima fatica). Impara ad usare il corpo emozionale, trasmutando gli scopi egoistici e le illusioni, in anelito di bene.
Stiamo imparando a costruire la saggezza sapendola trarre dalla conoscenza e dall’esperienza (terza fatica).
Non per ultimo stiamo imparando a trasmutare l’istinto e l’intelletto in intuizione.
Gli aspetti fisici primitivi e mentali razionali, si evolvono in quelle meravigliose facoltà di cui si servono i mistici, i poeti, gli artisti, gli scienziati, i saggi.
Noi discepoli della vita, pellegrini, marinai, argonauti dello spazio, sappiamo ora riconoscere quanto sia indispensabile uscire dalla massa, dal gregge, lavorando sui nostri molteplici condizionamenti, per diventare sempre più persone integrate e consapevoli.
Spesso ci è stato ricordato che l’evoluzione, la crescita personale, non richiede un popolo di santi e tantomeno di perfetti, ma un popolo di consapevoli.  E’ il grado della nostra consapevolezza che fa la differenza.
Realizzato un certo “risveglio” la Vita una ci propone una inversione di marcia. Possiamo chiamarla la “grande rinuncia” a cui si persegue nel tempo e per gradi.
MANDALAVi propongo per questo, la bella analogia della costruzione dei mandala tibetani che troviamo nella tradizione buddista. Come sappiamo dopo mesi di accurato lavoro, dopo aver terminato l’opera bellissima costruita con la sabbia colorata, i monaci la distruggono durante un rito che vuole rappresentare l‘impermanenza.
Nel testo vengono menzionati i simboli più ricorrenti nelle varie tradizioni.
La grotta e la montagna. “Il Cristo nato in una grotta, la personalità è vinta in una grotta, la voce del Signore è udita in una grotta, dopo le esperienze della caverna, si sale il monte della trasfigurazione, si conquista il monte della crocifissione, ed infine il monte dell’ascensione”.
E’ interessante riflettere sulla analogia proposta dal testo, dove ci viene spiegato che l’umanità attuale, avendo superato di massima il livello di coscienza attestato nel corpo emozionale, detto astrale, si presta ad essere maggiormente focalizzato sul piano mentale, nella testa.
Nella testa esiste una piccola cavità, dove è inserita una delle ghiandole più importanti del corpo umano: la pituitaria. Questa ghiandola quando è attivata, determina una personalità completa, attiva, funzionate. La pituitaria inoltre svolge funzioni di coordinamento per tutte le altre ghiandole endocrine del corpo umano. Controlla lo sviluppo della crescita fisica, emotivo affettiva e mentale intellettiva. Dalla tradizione orientale, sappiamo che ogni ghiandola presiede ad un ciakra o punto di forza.

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PITUITARIAQuesta ghiandola è composta da due lobi, uno anteriore che presiede alla mente razionale intellettiva, l’altro posteriore presiede invece alla natura emozionale, immaginativa.
Ecco l’analogia dei due lobi della pituitaria che simboleggia la caverna dalle due aperture della quinta fatica. Ercole infatti, blocca la parte della caverna posteriore, il lobo posteriore, dove presiedono le emozioni negative personali, gli egoismi, le paure, le rabbie, l’odio ecc.
Questo gli permette di accedere alla parte anteriore della grotta, al lobo anteriore della pituitaria, usando la parte intellettiva superiore asservita al Sé.
Quanto esposto meriterebbe ulteriori studi ed analisi, quindi qualora il gruppo fosse interessato a sviluppare la tematica, potremmo procedere con la ricerca.

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Questa correlazione ci porta a considerare, quanto sia presente nella nostra esistenza il famoso motto ermetico: “Così in alto, così in basso”.

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Gabri

 

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5 risposte a La quinta fatica di Ercole

  1. Flavia Piccinelli dice:

    La consapevolezza è cio’ che è ed è sempre, il resto accade e conta poco, perchè è transitorio come lo siamo noi o meglio il nostro corpo, ma la consapevolezza che esiste da sempre dentro di noi, va trovata è stata e sarà e non la perderemo mai, è il sè profondo da vedere ogni giorno in tutto ciò che facciamo e ci circonda ….
    Mistero e fiducia…..

  2. Gianna S. dice:

    La quinta fatica risuona dentro di me come un telegiornale della vita di tante, tante persone che, nel mondo d’oggi, affrontano l’esistenza stessa senza strumenti, senza armi, con paura, timore e solitudine, eppure, forti dell’amore che portano e della vitalità che hanno dentro, combattono con coraggio e a mani nude tutte le “belve” che incontrano sul loro cammino. Con l’unica arma che si sono costruiti, fronteggiano ogni giorno “leoni e serpenti” e ne escono vincitori, consapevoli che
    dovranno e potranno sconfiggerne ancora.
    Mariangela

  3. Il Maestro dice ad Ercole che un terribile leone sta terrorizzando il popolo e di liberare questo popolo. Subito Ercole, sentendosi parte di quella comunità che soffre, con entusiasmo si apre all’impresa e inizia la sua quinta fatica. Si toglie l’armatura di cui era vestito, simbolicamente sono le pesantezze e gli attaccamenti che ognuno di noi porta con sé, i propri egoismi e, leggero e fiducioso inizia la ricerca del leone. Il mito dice che inizia la fatica munito solo della sua clava, cioè di tutti gli strumenti che si è costruito durante la vita. E’ interessante quello che ci diceva Gabri sui seguenti termini: temperamento, carattere, personalità, termine che nell’uso comune si sovrappongono e si confondono. Dice Gabry: il temperamento è la componente biologica e genetica della personalità, il carattere è l’insieme delle strategie di adattamento all’ambiente, La personalità, non è quindi qualcosa di innato ed immodificabile.Nel segno del Leone che è un segno di fuoco Ercole comincia a prendere coscienza di sè come individuo ed entra in una fase di consapevolezza.. Nel segno del Leone, tutti noi,una volta realizzata l ‘individuazione, ossia l’affermazione cosciente della nostra individualità, cominciamo a renderci conto che abbiamo una meta più elevata, che ci trascende, che siamo incarnati allo scopo di spiritualizzare la materia ed elevarla al cielo attraverso le fatiche e l’impegno del nostro lavoro quotidiano. La quinta fatica ci insegna che solo dopo un lavoro costante e continuo sulla personalità, possiamo asservirla all’anima, al Sè. Questo lungo processo, richiede costanza, orientamento verso uno scopo. Ognuno di noi generalmente, oltre ai doveri contingenti, famiglia lavoro, ecc. sceglie dei campi di servizio, di partecipazione attiva sia esteriore che interiore. I campi sono diversi a seconda delle stagioni della nostra vita e delle nostre nature personali. ((campo sociale, politico, umanitario, religioso, scientifico, culturale…transpersonale..) Una volta realizzata la propria consapevolezza, compreso il nostro colore, il nostro suono specifico, possiamo scegliere di metterci a disposizione di un servizio più elevato. Rimane sempre indispensabile continuare a lavorare su noi stessi, approfittando delle innumerevoli esperienze che la vita costantemente ci offre. Quello che più mi colpisce in questa fatica, e che credo molto difficile da perseguire, sia la capacità di rinunciare alle aspettative, al bisogno di gratificazione ad ogni servizio offerto. Anche se lo neghiamo a noi stessi, nel nostro profondo, desideriamo sempre essere riconosciuti, gratificati in qualche modo, se lavoriamo per gli altri. Gabri ci presenta l’analogia dei mandala tibetani, che si prestano per farci comprendere profondamente questa fatica. Lavorare, senza attaccamento al risultato. Enio

  4. Giorgio T. dice:

    Lo strumento dell’osservazione del sé
    Osservare, pregare, meditare, scrivere, dipingere, leggere, filosofare, camminare, studiare, sperimentare… coltivare.
    Quante sono le vie per scoprire il sé?
    Innumerevoli, quanto le persone su questa Terra.
    Cosa ci spinge in profondità, nel nostro Io, fino a cercare il Sé più nascosto?
    Il desiderio di realizzare la conoscenza più intima e vicina del nostro transito in questa vita?
    Ogni osservazione potrebbe esser degna di un approfondimento ragionato ed accademico, ma non è questo quello che voglio approfondire ora.
    Ogni filosofia, ogni credo laico o religioso che sia, ha fornito degli ottimi strumenti introspettivi per osservare il sé.
    Strumenti legati, comunque, ad una assunzione di fede, prima che di un riscontro personale e sperimentato del proprio sé.
    Come districarsi in questo labirinto di informazioni, senza gettare del tempo prezioso, sperando di aver intrapreso la strada giusta con la ricerca di quei segnali, necessari, per orientarci?
    Madre Natura ci fornisce le risposte.
    Avete mai provato far germinare un piccolo seme?
    Osservandolo nella sua fase di quiescenza e desideroso di acqua e terra?
    Vederlo rompere il suo guscio ed esporsi alla luce per riceverne tutta la forza?
    Mettere le prime foglie, allungare il suo stelo, sviluppare tutto il suo potenziale in cambio di cure semplici ma costanti?
    La lentezza con cui sviluppa le sue dimensioni, e che fragilità in questo transito!
    Adesso trasliamo analogicamente il piccolo seme, identifichiamolo con il nostro sé più intimo…
    Siamo duri, quasi impenetrabili, ci siamo circondati con un guscio quasi inattaccabile, ma il piccolo seme ci insegna…
    Non ci servono filosofie strane o ermetiche, ci servono, invece, semplici elementi tangibili, come acqua e terra, che rappresentano la nostra parte fisica.
    Ci serve la luce, sì quella della conoscenza e della consapevolezza ma anche quella del mondo (non in senso filosofico), ma quella del sole, dei suoi giochi tra le nuvole ed i suoi albeggi e tramonti, i colori dell’erba e della terra rivoltata e fertile e inondata di sole.
    Mettere le prime foglie rappresenta la consapevolezza che siamo parte della natura e dei suoi ritmi lenti ma costanti. Solamente questa presa di coscienza ci permetterà i crescere e sviluppare il nostro Sé alla luce dell’Amore Universale.
    Così… semplicemente…lasciandoci andare, arrendendoci alla vita, che va vissuta, condivisa e restituita.
    Avete mai provato a far “crescere” il vostro piccolo seme?
    Giorgio T.

  5. Gianna dice:

    Questa è la fatica nella quale vorrei riconoscermi…

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