Cosa è secondo me l’amicizia?

thumb_blogpost-2017-08-03-160123803794-le-piu-belle-frasi-sullamicizia.650x305_q95_box-0,38,1920,939Riceviamo da Lucilla

Credo tutto. Per vivere per amare per sognare.
Sono rimasta figlia unica in una famiglia dove ci sono stati due lutti dolorosi, il primo figlio Lucio, il maggiore, di broncopolmonite capillare quando ancora la penicillina non era arrivata in Europa e ancora meno in Tunisia dove vivevamo. Morì anche, poco dopo la nascita, una sorellina che avevo aspettato facendo tanti progetti e molte speranze sicura che avremmo fatto allegramente molta strada assieme. La ricordo ancora con molta emozione, piccolina ma tanto carina i capelli neri e ricci che le accarezzavano la fronte la pelle non troppo bianca come la mia, i lineamenti decisi, riproducendo il ramo materno mentre io avevo preso da mio padre, alta e magra, sempre pallida con i capelli chiari della nonna.
Annientati dal dolore i miei genitori evitarono altri figli ed io mi buttai nella ricerca di una sorellina sostitutiva fin dalla prima elementare ma questa mia ricerca si realizzò molto più tardi alle medie quando il collegio di suore svizzere, unica scuola possibile per me a quei tempi, mi aiutò a capire che per avere un’amica da piccola era necessario condividere estrazione sociale, professione del padre, educazione e principi, religione e se possibile nazionalità. Se quest’ultimi non erano affini la conoscenza durava poco e l’amicizia impossibile.
Alle medie invece ho legato con quelle bambine che avevano fatto con me i cinque anni di elementari come ci fossimo riconosciute in una storia comune e sono oggi quelle amicizie che con immensa tenerezza ho ritrovato su Facebook.
tema-tolleranzaLa Betty, nata da una famiglia ebrea che per salvarsi dai tedeschi aveva abbracciato le fede cristiana, oggi sposata ad un ebreo ma purtroppo malata di cancro alla quale tutte noi vecchie amiche di ogni religione mandiamo da Facebook preghiere in tutte le lingue.
Marie Jo, compagna di banco della Betty, una bambina dalla pelle ambrata con due grandi occhi neri sempre pronti a sorridere. Maltese, parlava due lingue, francese e inglese. Sposata oggi ad un funzionario uruguaiano parla anche spagnolo e un po’ di portoghese.
Anne Marie, anche lei maltese come Marie Jo ma dalla pelle ancora più scura, dagli occhi molto grandi nerissimi con capelli incredibilmente lisci come quelli dei cinesi, parlava le lingue di Marie Jo alle quali si aggiungeva l’italiano lingua della mamma.
Liliane, ebrea mia compagna di banco, una di quelle bambine che Suor Natascia mi metteva seduta vicino per prendere esempio dalla sua saggezza, inutilmente, perché un po’ prematura; a scuola mi annoiavo ad ascoltare cose che ritenevo di sapere già ed era misteriosamente vero. Liliane ha sposato in seconde nozze a Parigi un biologo di Vicenza e l’ho ritrovata dopo venticinque anni, con molta reciproca gioia, un giorno a Brescia in un laboratorio di analisi. Liliane parlava solo francese ma non poteva rimanere indietro. A Brescia ha imparato il dialetto e l’italiano.
Jacqueline invece parlava solo francese ma era un’amica molto speciale, anche lei mia compagna di banco ormai dopo le medie, a quattordici anni, con un’intelligenza superiore e interessi infiniti l’ascoltavo per ore ammirata sulle sue ricerche in Chiromanzia, Astronomia, Astrologia, e Grafologia depositando in modo definitivo nel mio cuore l’amore per l’occulto. In cambio, ne ero onorata, mi occupavo di lei con devozione e molto affetto quando l’epilessia la confinava nel suo mondo sbattendo gli occhi al cielo e qualche volta addirittura in malo modo scagliandola per terra, la bava alla bocca. Oggi Jacqueline, che per me in quegli anni ricordo fosse la più importante tra le amiche per l’affetto che ci scambiavamo e perché mi aveva svelato l’esistenza di un mondo affascinante aprendomi una porta sull’infinito, proprio lei è l’unica che non si ricorda più di me. Non mi riconosce ne come amica ne il mio nome le dice nulla. Dipinge.
Anche se abbiamo avuto la stessa storia scolastica dalla prima elementare al liceo Nicole è un’amicizia nata l’ultimo anno di liceo; entrambe lasciammo il collegio delle suore svizzere per finire il liceo e presentare la maturità alla scuola pubblica e mista, direzione scientifico per proseguire scienze biologiche all’Università. Scoprimmo così di avere le stesse inclinazioni allo studio delle scienze e abbiamo passato sui libri parecchie ore pomeridiane insieme. Particolarmente interessanti in quanto lo studio si realizzava in camera sua che era il soppalco della pasticceria del padre Abel pasticcere fornaio e spagnolo ma aveva titolato la pasticceria La Parisienne, la Parigina. Ore profumate da cioccolato, creme alla vaniglia, pane fresco, brioches e croissants che ci hanno facilitato lo studio di logaritmi, integrali e coseni. La nostra amicizia è durata fino alla laurea lei a Marsiglia in Biologia io in Farmacia a Roma e poi all’improvviso sparì per un lavoro alla Réunion. Nicole è l’unica che non ho ritrovato su Facebook e mi dispiace molto, non ne sa nulla nessuno. In un programma simile a “Chi l’ha visto” in TV in Francia è stato fatta una ricerca sulle alunne del collegio, ormai sparito e sepolto da un grattacielo bancario, e molte ragazze ormai donne e qualcuna nonna, si sono ritrovate dai quattro angoli del mondo ma di Nicole non si sa nulla. Alcune amiche molto care Antonietta e Donatella entrambe italiane e entrambe hostess, Antonietta all’Alitalia e Donatella alla TWA, sono tornate prematuramente alla casa del Padre.
E poi la prima amica del cuore autentica italiana di quegli anni alla fine degli anni cinquanta, Lucienne, un’altra persona che la Suora di turno Mère Thérésianne al primo anno di liceo mi metteva accanto per imparare a fare la brava. In effetti Lucienne era timida come un uccellino e cercava protezione che le ho dato con amore e lei si è affidata a me con tutta se stessa nei compiti e nei giochi nel bene e nel male. Abitava in un quartiere commerciale in un bel condominio dove mio padre aveva il negozio di fotografia. E la nostra amicizia non finiva con i mesi di scuola perché i nostri genitori avevano comprato una villa come residenza estiva nello stesso luogo, Dermech, che era stato nel passato il porto punico di Cartagine.
Non è cambiato nulla da allora ci sono stata l’anno scorso. Mi sono emozionata nel rivedere quei marciapiedi dove ogni pomeriggio ci incontravamo per chiacchierare e organizzare l’ultima festa a sorpresa per il compleanno di uno di noi o per incontrare il fidanzatino del momento e scambiarci uno sguardo di più. Mi sembrava di vedere uscire dal cancello del giardino una ragazza in vespa che andava a prendere la sua amica Luciana per fare un giro nel paesino vicino. Mi domando dove andavamo non riesco a ricordare cosa inventavamo per poter fare un giro in vespa perché naturalmente la ragazza ero io con la mia amica Luciana. L’estate Lucienne diventava Luciana e Lucile Lucilla perché libere finalmente potevamo parlare in italiano o per lo meno quello che ci sembrava italiano, incomprensibile agli italiani, e che l’inverno dovevamo dimenticare a scuola. Al ritorno dal primo anno d’Università nel 1961 il Dottor Schiano, padre di Luciana, per accontentarla e non vederci più in vespa forse ritenendola pericolosa comprò un’auto a Luciana, una 600 bianca. Anche se Luciana non aveva la patente. E l’auto è stata affidata a me assieme a Luciana. Quì viene il momento più difficile per me da raccontare perché proprio Luciana, proprio la mia amica del cuore che mi amava con devozione e ammirazione, proprio lei sto dicendo l’ho portata a un passo dalla morte scatenando la tragedia. Era una domenica di luglio a mezzogiorno, una giornata molto calda e stavamo tornando dalla messa che avevamo ascoltato nella cattedrale di Saint Louis a Cartagine. In auto erano seduti sul sedile posteriore la cugina di Luciana ed un bambino di tre anni del quale non ricordo la parentela. Vicino a me Luciana con il finestrino giù. Cosa e perché è successo non lo sapremo mai ma l’auto dietro la nostra occupata da amici conoscenti raccontarono che videro l’ auto improvvisamente sbandare girare su se stessa e rovesciarsi. Io ch’ero alla guida ricordo solo che il rumore della terra mi ha risvegliato da un probabile svenimento dovuto ad un po’ d’anemia che con il caldo eccessivo il primo giorno del ciclo mi aveva provocato un collasso, ma ormai non potevo fare più niente l’auto s’era rovesciata sulla porta lato guida e m’impediva l’uscita. Chiamai per sapere se i miei passeggeri stavano bene e la cugina di Luciana mi gridò di si e che stavano bene il bambino pensando fosse un gioco rideva allegro. Luciana però era stata scaraventata fuori dal finestrino aperto. Ero bloccata ma con la forza della disperazione riuscii chissà come a strisciare tra il finestrino e la terra a sollevare l’auto e rimetterla in piedi cercando Luciana ma Luciana non c’era. Era più avanti sul pavimento della strada accovacciata per terra, gli occhi chiusi e non rispondeva alle mie grida. Era svenuta o in coma piena di lividi. Mi misi in ginocchio e cominciai a chiamarla in tutti i modi possibili. Non era solo uscita violentemente dal finestrino l’auto probabilmente gli era passata forse sopra. Credo che nella disperazione nella quale mi sentivo sono svenuta ancora e probabilmente così è andata perché non ricordo nulla e non ho mai ricordato nulla di quello che è successo prima e dopo l’incidente, fino all’indomani mattina nella clinica dove era stata ricoverata Luciana.
pagine-un-diario-antico-di-corsa-3943030Ho sofferto in modo indecente fino a che non ho saputo che Luciana completamente guarita e riabilitata in una clinica svizzera si sposava. La sentivo finalmente di nuovo protetta e amata come aveva bisogno. Io non ho più avuto un’amica come Luciana e ancora oggi dopo cinquantasette anni la persona in macchina seduta vicino deve avere il finestrino chiuso.

 

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